Troppo facile dire oggi, un po’ qualunquisticamente, che la politica ha fallito.
C’è una politica che ha vinto: è la politica renziana che ha vinto una battaglia (far fuori Conte) e che vuole vincere la guerra, e cioè affermare – ora che si decide un pezzo di futuro con i 209 miliardi del Recovery – un’opzione politica conservatrice, di destra molto semplicemente.
Un’opzione fatta di: centralità dell’impresa rispetto al lavoro; contenimento dello Stato rispetto al privato; priorità all’atlantismo rispetto al multilateralismo in politica estera; ordoliberalismo alla Merkel contro socialismo alla Sanders.
C’è poi una politica che ha perso, non da ora. È quella che in Italia non riesce a tenere insieme un “partito” che sia contro le disuguaglianze sociali e il cambiamento del clima che rubano il futuro; contro il potere crescente delle mafie e della corruzione che asfissiano il presente (da Corsico a Platì).
Da che parte sta Draghi?
Con la politica neo-liberale, che cerca di riscattarsi dai fallimenti del neoliberismo degli ultimi anni. Oggi anche in questa destra si accorgono che le disuguaglianze sociali sono un problema, perché alimentano i sovranismi razzisti e xenofobi alla Trump, sgraditi anche a loro.
Da che parte sta, allora, Draghi?
Bisogna chiederselo e darsi una risposta.
Sta a destra, in quella destra.
Per semplificare: sta con Merkel, non con Sanders.
Solo così si capirà la scelta politica che Mattarella ha compiuto con Draghi (vediamo ora cosa succederà).
Ma come, Mattarella sceglie la destra?
Sì, sceglie quella destra perché sa che è ancora influente e capace di generare approvazione (l’onesto Draghi parla all’elite col suo curriculum e al popolo con la sua competenza, “è uno bravo”).
Non è la destra neoliberista reaganiana e thatcheriana d’altri tempi, ma quella “nuova” che tenta una riscossa riformatrice.
Tracce di questo spirito riformatore si trovano nei documenti della confindustria americana sugli stakeholder, nelle dichiarazioni di esponenti di Fmi, Ocse, e sulla stampa mainstream: Economist, Financial Times.
È una destra, moderata per convenzione, che non si presenta mai col suo nome vero, a cui piace essere proteiforme.
Niente di più utile a questa destra è chiamare i suoi seguaci “tecnici”, “esperti” e contrapporli ai “politici”.
Ma non sono tecnici, e come potrebbero esserlo?!
Mario Draghi, ad esempio, solo negli ultimi 15 anni, ha gestito un potere conferitogli dalla politica, prima come governatore della Banca d’Italia e poi come presidente della Bce. Luoghi dai quali ha espresso la sua visione politica. La famosa lettera Draghi-Trichet al governo Berlusconi (5 agosto 2011) entrava nel dettaglio di scelte di politica del lavoro su licenziamenti e contratti. Non solo finanza pubblica. Per non parlare degli anni ‘90 di Draghi alla direzione generale del Tesoro: il suo discorso sulle privatizzazioni tenuto a bordo dello yacht Britannia, il 2 giugno 1992, è un must della politica di quegli anni.
In conclusione: siamo proprio sicuri che stia arrivando il governo dei tecnici?